Complesso Parkinson-demenza o demenza dovuta a malattia di Parkinson?

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La demenza dovuta a malattia di Parkinson è una condizione che si verifica in molte persone affette da malattia di Parkinson.
Il Parkinson è una malattia neurodegenerativa, ad evoluzione lenta ma progressiva, che colpisce strutture cerebrali in aree profonde del cervello, i gangli della base (nuclei caudato, putamen e pallido), che controllano l’esecuzione dei movimenti.

Nel cervello affetto da malattia di Parkinson il neurotrasmettitore dopamina, essenziale per l’attività motoria, viene prodotto in quantità inferiore rispetto a un cervello sano, a causa della massiccia perdita neuronale che interessa principalmente un’area chiamata substantia nigra (oltre il 60% dei neuroni di quest’area muore).

Dal midollo al cervello cominciano a comparire anche accumuli di una proteina chiamata alfa-sinucleina, chiamati corpi di Lewy (si trovano anche in altre forme di demenza, come la demenza con corpi di Lewy). Forse sono proprio questi aggregati proteici anomali a diffondere la malattia in tutto il cervello.
Infatti mentre si verificano questi cambiamenti neuropatologici iniziano i primi sintomi cognitivi, quali difficoltà di memoria, di concentrazione, di capacità di ragionamento e di giudizio, difficoltà interpretare informazioni visive.

Inoltre in questi pazienti l’ascolto risulta attutito, possono presentarsi allucinazioni visive, deliri, depressione, irritabilità, ansia, disturbi del sonno, come eccessiva sonnolenza diurna e disturbi del sonno REM (rapide eyes movement). La demenza dovuta a malattia di Parkinson di solito viene diagnosticata quando una persona sviluppa i primi sintomi di demenza a un anno o più dalla diagnosi di malattia di Parkinson.

Fattori di rischio per lo sviluppo della demenza al momento della diagnosi di Parkinson sono l’età avanzata, una maggiore gravità dei sintomi motori, e avere una diagnosi di decadimento cognitivo lieve (MCI). Attualmente non ci sono trattamenti per rallentare o fermare il decorso del complesso Parkinson-demenza, ma solo trattamenti sintomatici.

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Bibliografia

  1. http://www.centroalzheimer.org/area-familiari/altre-demenze/
  2. Frisoni, G. B. et al. Imaging markers for Alzheimer disease: Which vs how. Neurology 81, 487–500 (2013).

 

Atrofia corticale posteriore

Atrofia corticale posteriore

L’atrofia corticale posteriore (PCA), detta anche Sindrome di Benson, è una forma di demenza che di solito è considerata una variante atipica dell’Alzheimer (AD). La malattia provoca atrofia della parte posteriore della corteccia cerebrale, con conseguente progressiva interruzione dell’elaborazione visiva complessa.
La PCA è stata descritta da D. Frank Benson nel 1988.

La PCA di solito colpisce le persone in età più precoce rispetto ai casi tipici di Alzheimer, con sintomi iniziali spesso sperimentati nelle persone verso i 55/65 anni

 L’Atrofia corticale posteriore è caratterizzata dalla graduale e progressiva degenerazione della corteccia posterioredel cervello, area responsabile del processamento dell’informazione visiva, a causa delle stesse anomalie neuropatologiche caratteristiche della malattia di Alzheimer (AD) (placche di amiloide e grovigli neurofibrillari).
L’età di esordio della PCA è più precoce rispetto ad AD, tra 50 e 65 anni. Un’errata diagnosi di PCA è comune poiché è una malattia rara che si manifesta in modo insolito e variabile.
Molto spesso i pazienti si rivolgono inizialmente ad un oculista perché i primi problemi sono percepiti come problemi agli occhi. Infatti il paziente lentamente sviluppa difficoltà con compiti visivi come lettura in linea, giudizi sulla distanza, distinguere tra il movimento di un oggetto e la sua stazionarietà, incapacità di percepire più di un oggetto per volta, disorientamento, difficoltà di manovra identificazione, e l’utilizzo di strumenti o oggetti di uso comune. Alcuni pazienti hanno allucinazioni.
Altri sintomi possono includere difficoltà di calcoloe molte persone possono essere ansiose, consapevoli del fatto che qualcosa non va.
Nei primi stadi di malattia molte persone non hanno marcati deficit di memoria, questi subentrano tardi nel corso della malattia.

Un trattamento scientifico specifico e accettato per la PCA deve ancora essere scoperto; può essere dovuto alla rarità e alle varianti della malattia. A volte i pazienti di PCA vengono trattati con prescrizioni create in origine per l’AD, tipo gli inibitori della colinesterasi, la Memantina, il Donepezil, la Rivastigmina e al Galantamina. Anche i farmaci antidepressivi hanno dato alcuni effetti positivi. I pazienti possono trovare benefici con trattamenti non soggetti a prescrizione, quali i trattamenti psicologici.

I pazienti di PCA possono trovare assistenza in un incontro con un terapeuta professionale o un team sensitivo per aiutare ad adattarsi ai sintomi della PCA, soprattutto per i cambiamenti visivi.
Le persone con PCA ed i loro caregivers possono avere esigenze diverse rispetto ai casi più tipici dell’Alzheimer, e possono beneficiare di gruppi di supporto specializzati. Nessuno studio finora è stato definitivo nel fornire un’analisi conclusiva accettata sulle opzioni di trattamento.

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Bibliografia

  1. http://www.centroalzheimer.org/area-familiari/altre-demenze/
  2. https://www.alzheimer-riese.it/malattia/che-cose/sindrome-di-benson#trattamento
  3. Frisoni, G. B. et al.Imaging markers for Alzheimer disease: Which vs how. Neurology 81,487–500 (2013).

 

Demenza a corpi di Lewy

Demenza a corpi di Lewy

La demenza a corpi di Lewy (LBD) deve il suo nome al neurologo Friedrich H. Lewy, che nel 1912 scoprì depositi proteici nella corteccia e nel tronco cerebrale di pazienti deceduti affetti dal morbo di Parkinson. Queste agglutinazioni, definite in seguito corpi di Lewy, impediscono lo scambio dei neurotrasmettitori danneggiando così le cellule nervose. Non è ancora chiaro come e perché insorga. Non si conoscono neppure fattori di rischio evidenti. La LBD è una delle forme di demenza più frequenti, anche se è decisamente più rara dell’Alzheimer. Il 10-15% circa dei malati sono affetti da questa forma di demenza, talvolta associata all’Alzheimer. Gli uomini ne sono più colpiti delle donne.

La malattia comporta una perdita progressiva delle capacità cognitivee spesso disturbi motori.Attualmente è considerata incurabile. I primi sintomi si manifestano solitamente dopo i 60 anni. La caratteristica principale della LBD è la demenza. Nella vita quotidiana la LBD si manifesta con il declino delle facoltà cognitive. All’inizio la memoria è ancora ben conservata. I primi sintomi della LBD si manifestano solitamente dopo i 60 anni, inizialmente con cambiamenti nel modo di pensare e ragionareconfusione, l’attenzioneè estremamente fluttuante, varia significativamente sia nell’arco della giornata che da un giorno all’altro. Diversamente dalla malattia di Alzheimer all’inizio la memoria è ancora ben conservata, successivamente viene compromessa ma con deficit meno evidente. Col progredire della malattia vengono coinvolte le capacità di programmazione, l’organizzazione, l’adattabilità, la motivazione. Possono essere presenti disturbi motori, tipici del Parkinson, come ad esempio una postura ingobbita, problemi di equilibrio e rigidità muscolare. Spesso si osservano anche altre caratteristiche quali allucinazioni, disturbi del sonno REM (rapide yes movement) con sogni vividi, disturbi neurovegetativie sintomi psichici.

I Corpi di Lewy non sono esclusivi di questa condizione patologica ma si trovano anche in altre demenze, come la malattia di Alzheimer e la malattia di Parkinson, come dimostrato anche dalla sovrapposizione di alcuni sintomi. La diagnosi di LDB è una diagnosi “clinica”, ovvero è un giudizio dello specialista sui segni e sintomi esperiti dal paziente. L’unico modo per diagnosticare definitivamente la DLB è attraverso una autopsia post-mortem. Attualmente non ci sono trattamenti che possono rallentarne o arrestarne il decorso, ma solo trattamenti sintomatici per cercare di migliorare la qualità della vita dei pazienti e dei loro familiari.

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Bibliografia

  1. http://www.centroalzheimer.org/area-familiari/altre-demenze/
  2. www.alz.ch
  3. Frisoni, G. B. et al.Imaging markers for Alzheimer disease: Which vs how. Neurology 81,487–500 (2013).

 

La demenza Frontotemporale (FTD)

la demenza Frontotemporale (FTD)

Vi sono molte altre condizioni cliniche che possono provocare sintomi ascrivibili a demenza, quali la demenza Frontotemporale (FTD), la demenza a corpi di Lewy, l’atrofia corticale posteriore, il complesso Parkinson-demenza, la demenza vascolare e la demenza mista.

La locuzione Demenza frontotemporale (FTD) è un termine generico usato per indicare tutte quelle malattie degenerative che colpiscono i lobi cerebrali frontale e temporale. Essenzialmente esistono quattro forme di demenza frontotemporale:

  • FTD variante comportamentaleche provoca problemi comportamentali e disturbi della personalità;
  • l’afasia primaria progressiva che compromette la fluenza o la capacità di reperimento della parola;
  • lademenza semantica che causa deficit di riconoscimento e di comprensione del linguaggio;
  • la paralisi sopranucleare progressiva (PSP) caratterizzata da instabilità posturale con aumentato rischio di salute

Le cause di queste tre forme di demenza sono ancora ignote. Nel 50 % dei casi è stata osservata una spiccata familiarità. La DFT colpisce indistintamente uomini e donne e insorge per lo più tra i 45 e i 60 anni. È più rara della malattia di Alzheimer, tranne che nei soggetti di età inferiore a 65 anni.

I sintomi della FTD variano a seconda di quale parte della corteccia cerebrale è interessata dal processo degenerativo:

–       se vengono colpiti i lobi frontalirisulteranno compromesse le funzioni esecutive,cioè tutte quelle abilità che ci permettono di pianificare e sequenziare le nostre azioni, monitorare e correggere gli errori. Inoltre il paziente manifesterà disturbi comportamentali e di personalità, difficoltà nelle relazioni interpersonali, nella presa di decisioni, disturbi del linguaggio e della funzione motoria.

–       i lobi temporali oltre a svolgere un ruolo essenziale per la memoria, sono coinvolti anche nel linguaggio e le emozioni. Se la perdita neuronale interessa queste aree, il paziente avrà difficoltà a capire le parole, parlare, leggere, scrivere, e collegare le parole con il loro significato. Difficoltà a riconoscere gli oggetti e mettere in relazione appropriate emozioni a oggetti ed eventi, a riconoscere le emozioni e rispondere adeguatamente a loro.

Attualmente è non sono disponibili trattamenti specifici, ma solo farmaci che possono ridurre l’agitazione, irritabilità e / o la depressione.

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Bibliografia

  1. http://www.centroalzheimer.org/area-familiari/altre-demenze/
  2. alz.ch
  3. Frisoni, G. B. et al.Imaging markers for Alzheimer disease: Which vs how. Neurology 81,487–500 (2013).

 

Malattia di Alzheimer

alzheimer

Molte situazioni patologiche possono determinare un quadro di demenza; delle forme ad esordio dopo i 60 anni il 60-80% è correlato alla malattia di Alzheimer. La malattia di Alzheimer è una sindrome a decorso cronico e progressivo che colpisce circa il 5% della popolazione al di sopra dei 65 anni. L’inizio è generalmente insidioso e graduale e il decorso lento e la durata media di malattia è di 8-10 anni dalla comparsa dei sintomi.

L’Alzheimer rappresenta la causa più comune di demenza nella popolazione anziana dei paesi occidentali nonché una delle maggiori cause di disabilità nella popolazione generale. Il rischio di contrarre la malattia aumenta con l’età: si stima che circa il 20% della popolazione ultra-ottantacinquenne ne sia affetta. Esistono tuttavia rari casi in cui la malattia esordisce in età precoce, ovvero prima dei 65 anni (forme ad esordio ‘precoce’).

La demenza di Alzheimer si manifesta attraverso sintomi cognitivi (difficoltà di memoria e di linguaggio, di riconoscimento di oggetti, disorientamento), funzionali (difficoltà nello svolgere le attività della vita quotidiana) e comportamentali (agitazione, ansia, depressione) che con il tempo peggiorano richiedendo un’assistenza sempre più intensa e continua.

La malattia di Alzheimer si differenzia dal normale declino della funzionalità cognitiva dovuta all’età, in quanto quest’ultima è più graduale e associata a minore disabilità sul piano funzionale. La malattia di Alzheimer prende il nome dal neurologo tedesco Alois Alzheimer che nel 1907 ne descrisse per primo le caratteristiche.

Il tessuto cerebrale dei soggetti da lui osservati presentava riduzione della cellule nervose e placche senili visibili anche a occhio nudo. Successivamente, con l’utilizzo di procedure di osservazione microscopica con colorazioni chimiche, evidenziò su porzioni predefinite di cervello la presenza di ammassi proteici non degradabili e solubili che compromettono la funzionalità cerebrale.

La malattia evolve quindi attraverso un processo degenerativo che distrugge lentamente e progressivamente le cellule del cervello e provoca un deterioramento irreversibile di tutte le funzioni cognitive superiori, come la memoria, il ragionamento e il linguaggio, fino a compromettere l’autonomia funzionale e la capacità di compiere le normali attività quotidiane.

Anche se, attualmente, non esistono trattamenti disponibili per rallentare o fermare il danno cerebrale causato dal morbo di Alzheimer, alcuni farmaci possono aiutare, temporaneamente, a migliorare i sintomi della demenza per alcune persone. Questi farmaci (inibitori della colinesterasi quali la Memantina, il Donepezil, la Rivastigmina e al Galantamina) funzionano aumentando i neurotrasmettitori nel cervello.

I ricercatori continuano a perseguire modi per trattare meglio il morbo di Alzheimer e le altre demenze progressive. Attualmente, sono in corso decine di terapie e trattamenti farmacologici che cercano di fermare la morte delle cellule cerebrali associate con il morbo di Alzheimer. Inoltre, sono in atto sistemi di supporto e vengono attuati interventi comportamentali non farmacologici in grado di migliorare la qualità della vita delle persone affette da demenza, nonché delle persone che le assistono e delle loro famiglie.

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Bibliografia

  1. http://www.centroalzheimer.org/area-familiari/la-malattia-di-alzheimer/malattia-di-alzheimer/cose-lalzheimer/
  2. Frisoni, G. B. et al.Imaging markers for Alzheimer disease: Which vs how. Neurology81,487–500 (2013).
  3. McKhann, G. et al.Clinical diagnosis of Alzheimer’s disease: Report of the NINCDS-ADRDA Work Group under the auspices of the Department of Health and Human Services Task Force on Alzheimer’s Disease. Neurology34,939–944 (1984).
  4. McKhann, G. M. et al.The diagnosis of dementia due to Alzheimer’s disease: Recommendations from the National Institute on Aging and the Alzheimer’s Association workgroup. Alzheimers Dement7,9 (2011).

 

Demenza senile

Demenza senile, Gruppo Votto Alessi, case di cura e residenze protette a Genova

Il termine demenza identifica una sindrome cronica e progressiva caratterizzata dal decadimento delle funzioni cognitive che nel decorso della malattia impattano sempre più marcatamente sulle capacità di una persona di svolgere le proprie attività quotidiane. I sintomi manifestati sono la diretta espressione di modificazioni patologiche che avvengono nel cervello.

La demenza è una patologia complessa, età correlata e spesso associata a disturbi psichiatrici e comportamentali, in un quadro di importante comorbilità somatica; l’elevata variabilità dei sintomi può comportare ritardi diagnostici con mancata tempestività delle misure terapeutiche comportamentali e/o farmacologiche che possono ritardare l’evoluzione o limitarne i sintomi.

Il dato epidemiologico riferibile all’intera popolazione suddivisa per classi di età, rende conto del perché si possa parlare di demenza come di una pandemia. Secondo le stime del 2015, nel mondo 46,8 milioni di persone convivono con una forma di demenza. Questa cifra è destinata quasi a raddoppiare ogni 20 anni, raggiungendo 74,7 milioni di persone nel 2030 e 131,5 milioni nel 2050.

Nel 2015 sono stati stimati, su scala mondiale, oltre 9,9 milioni di nuovi casi all’anno di demenza, vale a dire un nuovo caso ogni 3,2 secondi.

Secondo dati ISTAT al 1° gennaio 2017 l’Italia è uno dei paesi europei più anziani, collocandosi al secondo posto dopo la Germania, con 13.500.000 anziani, di età uguale o superiore ai 65 anni, pari al 22,3% della popolazione totale. Secondo gli ultimi dati pubblicati dal Ministero della Salute, in Italia il numero totale dei pazienti con demenza è stimato in oltre un milione (di cui circa 600.000 con demenza di Alzheimer) e circa 3 milioni sono le persone direttamente o indirettamente coinvolte nell’assistenza dei loro cari.

Si stima un’incidenza di demenza nazionale del 12,47 per 1.000 persone ogni anno, nella fascia di età fra i 65 e gli 84 anni; ogni anno si contano 409.000 nuovi casi di demenza: 141.000 uomini e 268.000 donne, discrepanza motivata dal fatto che la vita media per gli uomini è di 80,6 anni, per le donne di 85,1. In pratica, in Italia, secondo lo studio ILSA del CNR la demenza interessa il 6,4% delle persone oltre i 65 anni, il 7,2% delle donne, il 5,6% degli uomini.

Le conseguenze sul piano economico ed organizzativo sono facilmente immaginabili, tenendo conto che i soli costi annuali diretti per ciascun paziente vengono, in diversi studi europei, stimati in cifre variabili da 9.000 a 16.000 Euro a seconda dello stadio di malattia.

La definizione “demenza” comprende in realtà numerose malattie a diversa eziopatogenesi e clinica che devono essere considerate per il corretto percorso diagnostico e terapeutico per cui il termine deve essere declinato al plurale e cioè “demenze”. Le demenze sono il risultato di una complessa interazione tra fattori genetici, modificazioni neuro metaboliche, chimiche e/o vascolari e interazioni con altre malattie (diabete, ipertensione, dislipidemie, ecc.). Gli studi istochimici hanno evidenziato che sono molto frequenti gli “stati misti”, cioè quadri clinici in cui diverse forme di demenza coesistono nel malato.

La difficoltà di effettuare una diagnosi precisa delle diverse forme di demenza, soprattutto nelle prime fasi della malattia, ha diverse conseguenze, non ultima quella che il trattamento possa essere orientato in una prima fase verso una malattia diversa.

Nelle Residenze del Gruppo Votto Alessi è prevista assistenza specializzata a pazienti affetti da demenze senili ed Alzheimer.
Accogliamo anziani Ospiti con decadimento cognitivo medio-grave e con disturbi del comportamento, l’equipe di assistenza è organizzata per fornire una assistenza mirata e qualificata personalizzata sul singolo paziente.

 

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Bibliografia

 

  1. Winblad, B. et al. The Lancet Neurology Commission Defeating Alzheimer’s disease and other dementias: a priority for European science and society. www.thelancet.com/neurology Lancet Neurol 15, 455–532 (2016).
  2. Martin Prince, A. et al. World Alzheimer Report 2015 The Global Impact of Dementia An AnAlysIs of prevAlence, IncIDence, cosT AnD TrenDs EXECUTIVE SUMMARY. (2015).
  3. World Health Organization. Dementia: a public health priority. Dementia 112 (2012). doi:978 92 4 156445 8
  4. Prince, M. et al. World Alzheimer Report 2015: The Global Impact of Dementia – An analysis of prevalence, incidence, cost and trends. Alzheimer’s Dis. Int. 84 (2015). doi:10.1111/j.0963-7214.2004.00293.
  5.  www.simg.it